"Devi vivere nel presente, lanciarti in ogni onda, trovare la tua eternità in ogni momento. I folli stanno in piedi sulla loro isola di possibilità e guardano verso un'altra terra. Non c'è nessun'altra terra; non c'è altra vita che questa"
La guerra di Mika[Micaela Feldman Etchebéhère]. .Donna comandante.
[...]In prima linea sul fronte sotto le bombe, sepolta viva sotto metri
di terra, capace di organizzare una scuola dietro le trincee e di
leggere Dumas e Salgari ai combattenti analfabeti poi di lanciarsi in
combattimento sotto il fuoco delle mitragliatrici, amata fino alla
follia, temuta come la più pericolosa delle rivoluzionare,
incarcerata, ammirata da Borges e Cortázar per i suoi scritti e per la
sua ironia, rispettata dai bambini per l’amore e dai soldati per il
coraggio.
«È una donna cui si perdona il suo sesso nella misura in cui
lei non se ne avvale», si giustifica uno di loro coi superiori che gli
chiedono conto di quella bizzarria: una donna, ebrea, straniera per
giunta, argentina, a capo di una milizia antifranchista durante la
Guerra civile di Spagna.
Austera e casta. Dura e dolcissima.
Vecchia nel maggio francese, a strappare da terra i sampietrini coi
guanti «perché se no le tue mani sporche, ragazza, ti denunceranno.
Fidati di me e ora vai». Ragazzina a curare i denti dei campesinos in
Patagonia, donna a Berlino nei giorni dell’incendio del Reichstag.
Ma
come abbiamo fatto a raccontarci le storie di un secolo senza conoscere
Micaela Feldman Etchebéhère, senza sapere di Mika? Senza dire di questa
donna che lo ha attraversato per intero a volto scoperto e fronte alta,
come un vento che solca i continenti, come un Che Guevara con l’abito
lilla e gli stivali neri? Con quel sorriso, con la poesia della sua
grande amica Alfonsina Storni nel cuore, con l’amore senza confini di
Hipólito Etchebéhère, compagno di vita e di politica, di figli mai nati e
di trincea.
Le loro lettere. «Tranquilla, Mikusha. Dammi il tuo affetto
e insieme rifaremo il mondo». «Mandami il tuo amore, Hipólito, e ne
avrò la forza». [...]
[da un articolo di Concita De Gregorio su "Repubblica"]
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