A questo punto mi piacerebbe conoscere il parere degli uomini.
Mi piacerebbe sapere se si sentono rappresentati o offesi da qualcuno
che sdogana in tutte le sedi possibili e immaginabili gli istinti che
fino a qualche tempo fa appartenevano semmai al pudore dell’intima
immaginazione.
Mi piacerebbe sapere se le battutine da
bar dello sport assurte, per via diretta o indiretta, a vero e proprio
riferimento identitario ne fanno un idolo a cui dire grazie finalmente o
un modello da cui dissociarsi
E poi mi piacerebbe
sapere se non si sentono un po’ fessi quando devono uscire un carta da
100 euro per offrire da bere alla stangona del locale, magari meno
bella della figlia della tabaccaia, ma siccome è la più quotata è per
lei che si apre il don perignon al tavolo con frutta e candele
scintlllanti.
Se non si sentono cretini quando sul posto
di lavoro decidono di offrire una promozione a una piuttosto che
un’altra, ma una era più brava e l’altra era un po’ più esperta in
relazioni orali.
Se non si sentono frustrati
dall’ossessione di avere abbastanza soldi o potere per un surrogato di
desiderio che mangia la carta e butta la caramella, che si ferma
sull’involucro e il resto chisenefrega.
Se non si sentono preoccupati quando vedono la loro figlia di tredici anni avere la web cam in mano invece che una bambola.
Da
molte parti si sente dire che le donne italiane non si sono ribellate
abbastanza o peggio che chi non lo fa, chi non si vende, lo fa solo
perché è un cesso.
Ecco, io, a questo punto, credo che
tocchi alle vere vittime dire una parola, di plauso o dissociazione,
rispetto a questo serpeggiare ambiguo e animalesco.
Perché
penso che le vere vittime siano loro, gli uomini, spogliati giorno dopo
giorno, battuta dopo battuta, cartellone dopo cartellone, della magia
di un’atmosfera a cui non sarebbe pensabile dare un prezzo.
Per il resto, più che nell’era della gnocca, benvenuti nell’era dell’uomo-pollo
dafne*
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